Nell’anno 2000 scrissi a Indro Montanelli che gentilmente pubblico la mia
lettera e le sua, molto interessante, risposta.
A Indro ho inviato molte mie altre lettere che non hanno avuta la stesse
fortuna, ma le pubblichero’ ugualmente, deciderete voi se avrebbero meritato
una risposta.
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Mercoledì, 29 Novembre 2000
In ogni uomo non ce n'è mai uno solo
Caro Montanelli, Spero che vorrai tracciare un ritratto di Badoglio. Io
ho solo ricordi di vecchie letture. Durante la rotta di Caporetto, comandava
l'unica postazione di batterie che non spararono neppure un colpo di cannone,
perché lui era andato a puttane. Nel rapporto sulla tragedia, le 200 pagine
che parlavano di lui, sparirono. Poi, durante le guerre coloniali, si
distinse ed ebbe da Mussolini la nomina a marchese e una bellissima villa ai
Parioli. Infine fu scelto dal re come capo del governo tra il 25 luglio e l'8
settembre 1943. Sembra che ci furono più morti nelle piazze durante il mese
in cui ebbe il potere, che durante i 20 anni di fascismo. Ordinò ai
carabinieri anche di assassinare Ettore Muti e l'esecuzione venne camuffata
da incidente. Infine scappò assieme al sovrano all'annuncio dell'armistizio
anche perché aveva assicurato ai tedeschi che la guerra sarebbe continuata al
loro fianco.Tu, che sei stato definito "badogliano", dovresti
poterci dare una risposta chiara. Giancarlo
Gallani, Parigi (Francia)
Caro Gallani,
Premessa. Io fui considerato e chiamato, dai miei compagni di prigionia a
Gallarate, poi a San Vittore, "badogliano" perché avevo preteso di
fare la Resistenza da ufficiale del Regio Esercito di cui indossavo la
divisa. Non ho quindi per Badoglio motivi di gratitudine. E tuttavia trovo un
po' incompleto il ritratto che tu fai di lui. Cominciamo con Caporetto.
Badoglio comandava un Corpo d'Armata che faceva parte della II Armata, sotto
il comando di Capello, quella che fu investita in pieno dall'offensiva
austro-tedesca. Quando questa si scatenò, Badoglio non era "a
donne" come dici tu, ma a rapporto dal suo comandante, il quale lo aveva
convocato per ripetere a lui e agli altri Generali che, contrariamente a
quanto credeva Cadorna (che godeva del suo totale disprezzo), l'offensiva
nemica non ci sarebbe stata. E invece proprio in quel momento essa si
scatenava prendendo alle spalle tutto il nostro schieramento, sicché né
Badoglio né gli altri suoi colleghi poterono riprendere contatto con i loro
già travolti reparti. Come tutti gli altri, Badoglio fu sottoposto a
inchiesta, che si concluse con la sua promozione a vice Capo di Stato
Maggiore agli ordini di un Capo come Diaz che del Capo non aveva certamente
le stimmate. A fare il Piave fu Badoglio, e non aggiungo al suo serto
Vittorio Veneto, perché Vittorio Veneto fu una resa, non una battaglia.
Passarono gli anni. Venne il fascismo, che Badoglio accettò come lo avevano
accettato il Re e tutti Capi militari. E venne l'Abissinia. Sulla quale posso
rendere una testimonianza diretta. Due mesi e mezzo dopo l'inizio delle
operazioni, noi truppa ci aspettavamo di essere ributtati in mare, talmente
assurdo era lo schieramento impostoci dal Duce, il quale pretendeva dirigere
le operazioni da Roma, dettandole a De Bono, troppo debole per trasgredirle.
La situazione era talmente critica che si dovette sostituirlo con Badoglio
che in tre o quattro settimane sistemò il fronte, anche a costo di alcuni
passi indietro, che la stampa nemica enfatizzò come "ritirate" e
mandarono in bestia il Dittatore. Insensibile alle sue rampogne, Badoglio
aspettò che arrivassero le strade (in Abissinia non c'era neppure un
viottolo), e con esse la sicurezza dei rifornimenti. Lasciò che le sparse
bande etiopiche si coagulassero in due formazioni abbastanza organiche; in
due battaglie (Tembien e Passo Uarieu), che hanno trovato posto in tutti i
manuali di Storia militare coloniale, liquidò la partita. E da Addis Abeba
indirizzò a un'Italia che guazzava nella retorica imperiale e scioglieva le
sue campane per il ritorno dell'Impero sui Colli Fatali di Roma, questo
telegramma: "Oggi, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in
Addis Abeba". Te lo confesso: che lo abbiano fatto Duca di quella città,
non mi sconvolge. Avevano fatto Diaz Duca della Vittoria, D'Annunzio Principe
di Montenevoso, Marconi Marchese di nonsocché. Badoglio si fece anche pagare
bene l'impresa perché da bravo contadino piemontese, qual era, ai soldi ci
teneva. Però non ne prese mai uno più di quelli pattuiti in precedenza. Per
il resto del suo ritratto, cioè dal 25 luglio in poi, lascio la parola a te e
posso anche sottoscriverla. Purché tu sottoscriva le mie sul Badoglio di
prima. Perché in ogni uomo, specie se grosso, non ce n'é mai o quasi mai uno solo;
ce ne sono due o tre, talvolta anche di più. Ricordati di Giulio Cesare: il
più grande Generale, il più grande statista, e la più grande canaglia di
tutti i tempi.
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Indro Montanelli
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